Roberta Ubaldi nasce a Terni il 16 Ottobre 1965, vive e lavora a Narni Scalo (Tr). Si diploma maestra d’arte
presso l’Istituto “Orneore Metelli”. La curiosità e la voglia di crescere la portano a sperimentare
continuamente e dopo aver studiato e frequentato le diverse tecniche classiche, arriva progressivamente a
sviluppare una sua ben definita cifra stilistica una tecnica estrema e delle cromie ridotte all’osso che sono al
servizio di un lavoro personalissimo. La continua ricerca di materiali diversi l’ha portata attualmente ad
utilizzare lamiere di ferro in cui l’ossidazione creata dal tempo supera lo status di mero supporto per divenire
parte essenziale dell’opera pittorica. L’amore per il corpo umano, la porta a raffigurazioni che a partire da
una matrice ancora volutamente figurativa, sembrano volersi celare dentro una trama di ossidazioni.
Negli ultimi anni ha preso parte a diverse esposizioni personali e collettive in Italia e all’estero.
I suoi lavori sono trattati da :
Galleria Gagliardi – San Gimignano
Rossetti Contemporanea – Genova
www.robertaubaldi.it
Roberta Ubaldi: la sua arte metafora della vita.
Dopo aver indagato le diverse tecniche classiche, arriva progressivamente a sviluppare una sua definita cifra stilistica. Una tecnica estrema e cromie fortemente ridotte sono al servizio di un lavoro personalissimo. Originale e molto interessante la modalità espressiva a cui è giunta evidentemente dopo una serie di sperimentazioni che le hanno dato il preciso controllo tecnico di quanto voleva esprimere dal punto di vista artistico. Le sue opere, uniche più che particolari, si realizzano in due fasi: una preparatoria del supporto, che è ben lungi dall’essere solo supporto, ma già parte integrante, e totalmente sotto controllo, del dialogo che dovrà realizzarsi in fascinosa monocromia con la parte pittorica. Evitato ogni contrasto, la ricerca del ton sur ton si realizza sempre con eleganza e nuance ricercatissime. Tutto questo è possibile grazie al controllo che la Ubaldi ha del processo ossidativo della lamiera di ferro su cui poi esprimerà le sue doti pittoriche. È sì corrosione, che dall’etimo con quel prefisso ‘cor’ al seguito di rodere ci indica il reiterato e irreversibile fenomeno fisico, ma è qui che la Ubaldi interviene a dominarlo, limitarlo nel tempo e nelle zone della lamiera ferrosa, già in questo momento decisivo all’indirizzo del risultato finale.
Viene scontato immaginare che le opere della Ubaldi siano una metafora della vita, dove l’accadimento esterno ineludibile sia fato, destino a cui l’artista non si oppone, ben sapendo che sia impossibile, ma risponda al prezzo delle sue inquietudini, per limitarlo, dirigerlo e renderlo sopportabile, vivibile.
Chi studia la corrosione è spesso affascinato dalla bellezza del fenomeno. La Bellezza, diceva Pasolini, può passare per le più strane e impensate vie, anche quelle non codificate dal senso comune. La corrosione lo conferma.
Due sono le cose che lottano dalla notte dei tempi: la volontà e il destino. Le cose che desideriamo avere sono spesso in conflitto con quelle che semplicemente pare ci accadano per caso o colpa. Il destino (schicksal in tedesco) era per gli stoici lògos (e tale lo intese anche l’idealismo tedesco). Dalla parola derivano tantissimi concetti quali “legge”, “logica”, “linguaggio”, “legame”. È quindi un concetto molto più articolato di quello intendiamo in genere con razionale. Fatto sta che tutto ciò che accade ha sempre una “ragione profonda” (lògos spermaticòs) nel senso di “originaria” e ad un tempo capace di generare. Il lògos è quindi potenza generatrice, pensiero gravido di effetti.
I poeti e gli artisti parlano della corrosione dei metalli e del degrado delle cose pensando in effetti alla vita dell’uomo e alla sua precarietà. Ad esempio Shakespeare nel King Lear accosta, nel momento culminante della tragedia, la rovina del re a quella della natura e del mondo: “O ruin’d piece of nature! This great world shall so wear out to nought!”; l’evangelista Matteo, riportando il discorso della montagna, ammonisce: “Non accumulatevi tesori sulla terra dove il tarlo e la ruggine logorano”; il cantante rock Neil Young in uno dei suoi più importanti dischi ‘Rust never sleeps’ (1979) canta l’angoscia per la vita che si consuma – perché, appunto, “la ruggine non dorme mai”, e il sogno dei romantici di tutti i tempi di viverla intensamente a costo di bruciarla: “It is better to burn out than it is to rust”. I corrosionisti, che ben conoscono la tendenza dei metalli a ritornare alla polvere dei loro ossidi e dei loro sali da cui la metallurgia li aveva estratti, e ogni giorno sperimentano come questo ritorno effettivamente si produca per il venir meno, sotto i colpi del tempo che passa, di condizioni di passività, di barriere protettive o di inibizioni corrosionistiche, sono i primi a capire perché tanti poeti, artisti o santi possano vedere nella vita dei metalli e nel loro ritorno alle condizioni iniziali, di combinazione con sostanze ambientali, una metafora della propria vita e del proprio destino. Ciononostante non guardano con timore a questo fenomeno. Per molti di loro la corrosione è un’occasione per scoprire, pensare, operare, cioè per realizzarsi scientificamente o professionalmente. Per qualcuno è addirittura uno strumento per fantasticare e giocare, cioè per vivere. Per gli addetti ai lavori la corrosione è una medicina.
Se esiste un disegno superiore, non siamo liberi, oppure, se siamo liberi siamo in grado di intervenire sul quel destino modificandolo; destino, dunque, che in questo secondo caso sparirebbe dietro l’ombra della nostra capacità di determinare gli eventi. Come a dire o la ragione, interpretata come volontà, appartiene a noi o al destino che in quando lògos, nel senso di cui sopra, annullerebbe la nostra volontà.
Gli stoici paiono uscire agilmente da questo cul-de-sac. Per i greci infatti la nostra volontà è essa stessa logòs. I nostri pensieri sono fatti della stessa pasta che ha generato il mondo per così dire. Sempre per gli stoici dunque compito dell’uomo era ELEVARSI fino al punto di vista logòs spermaticòs.
L’Ubaldi entra nel merito ed è arrivata ad affermare che si possa essere liberi d’intervenire e modellare gli eventi della vita. Non cancellarli, non eluderli o escluderli, ma nemmeno subirli, passivi, quasi vittime sacrificali. Tutto questo l’artista umbra lo fa nella fase preparatoria nubenda alla fase successiva, dove entra in gioco l’espressività formale artistica, quasi in punta di piedi, accenno deliziosamente elegante, con minimo intervento cromatico a sposare armonizzando, come detto, ciò che la contorna.
Fernando Pessoa scrisse un libro intitolato ‘Il libro dell’inquietudine’ e ne fece una sua fonte di ispirazione. Non ha pensato che l’inquietudine fosse un male da allontanare, un campanello d’allarme, ma le ha aperto la porta, è ‘diventato casa’ per la sua ‘inquietudine’. Ha deciso di accoglierla e vedere cosa accade, dove lo porterà, cosa vuole fare di lui.
Stesso percorso, inconscio, viene fatto dalla Ubaldi all’accostarsi a principiare un’opera.
L’inquietudine: lo scuotersi e il fremere degli enti quando li afferra la sublime nostalgia dell’essere; il vento gagliardo che spazza l’afa stagnante e irrompe sulle cose come un soffio di vita nuova; lo squarciarsi delle nubi e l’apparire di un altro orizzonte, di un nuovo cielo e di una terra nuova, più fresca, più viva, come se fosse stata investita da un’ondata di amore e gratitudine; come questi abeti e questi platani che si piegano e si contorcono in una convulsione che è l’aspra sincerità e la gioia dolorosa della vita stessa. Tutto questo, semplicemente, ed è vera magia, viene espresso dall’artista con la corrosione modulata e interrotta, squarciata dall’elegantissima forma che viene inserita in essa.
Quando l’inquietudine si accende in un cuore generoso e lo spinge a osare la grande avventura. Ed è esattamente questo che Roberta Ubaldi fa, ogni volta che si accinge a esprimersi artisticamente.
Davanti ad essa le procelle della vita, turbolente, perigliose, incerte e pregne d’inquietudine. Lei al timone che governa indomita, ben sapendo dove, come e quando assecondare o contrastare gli eventi. Alla fine la quiete del ricovero in porto sicuro, dove lei ci conduce a dimostrazione di ciò che, mai doma, sa di poter sempre dimostrare, è premio per noi astanti di fronte a una sua opera che sempre ci regala un forte fremito di emozione, magnifica farfalla che esce inaspettata dal brutto bozzolo.
Roberta Ubaldi nelle sue opere usa il plasmare il supporto metallico a suo uso e volontà così come primitivi artisti facevano, modellando la creta. Lei con un intervento scientifico e temporale, quelli con la tradizione, l’esperienza che dettava simbologie o forme.
Non è soltanto il Dio della mitologia giudaico-cristiana a lavorare con la creta a guisa di abile vasaio: pure il sovrano degli dei romani, Giove, si dà da fare in questo senso, coadiuvato da una divinità minore dell’olimpo pagano, Cura. La storia è narrata nella favola del poeta latino di origine spagnola Gaio Giulio Igino e sarebbe stata probabilmente dimenticata se non fosse stata ripresa dal grande filosofo tedesco Martin Heidegger nel suo capolavoro Essere e tempo, del 1927. «Cura cum fluvium transiret…», «una volta che Cura attraversava un fiume…» inizia la favola, riproponendoci il fiume come luogo di nascita dell’inquietudine, e ponendo anche immediatamente un problema di interpretazione: come tradurre il latino cura? Con l’italiano «cura»? Proviamo a riflettere su questo termine, oggi spesso spinto verso il significato dell’inglese care nel senso di attenzione e assistenza anche materiale agli altri. Benché pure il termine latino sia polisemico e indichi non soltanto inquietudine ma anche sollecitudine, amministrazione, premura e devozione, la cura di cui qui si parla è inquietudine esistenziale (Sorge in tedesco), è apprensione e affanno. Protagonista della storia è allora la cura (personificata in Cura da intendersi come ‘inquietudine’). Ed è proprio di inquietudine che la Ubaldi parla quando le venga richiesto con che tipo di atteggiamento si accosti al principiare una sua opera. Quindi tutto torna: la Ubaldi, novella Cura, attraversa con la propria inquietudine ciò che il fato, il destino propone in modo ineluttabile e random ma lei non resta passiva a subirlo, lo plasma e limita quasi a quietarlo e a quietarsi. Lei e chi la circonda, regalando un attimo di pace, speranza estetica rigenerante e vitale.
Luigi Mazzardo
Anatomie della ruggine. Note sull’opera di Roberta Ubaldi
Nella poesia metafisica inglese il termine anatomia, come l’indice di un franco studio, di una dissezione appassionata della materia stessa della vita e del suo farsi, torna spesso in titoli e versi – vedi, per tutti, la cerebrale ma non per questo meno struggente Anatomia del mondo scritta da John Donne a ricordo della morte di un’amica. A questa e altre inutilità, complice del vino e il discorso di un amico, pensavo l’altra sera a una mostra, mentre entrambi – l’amico ed io – fissavamo ammirati una colonna rugginosa di ferro, messa a piedistallo di una piccola scultura. E allora ho ripensato all’opera di Roberta Ubaldi, intuendo d’improvviso, per un momento almeno, la sconcertante ricchezza viva e visiva della sua pittura.
L’impiego della ruggine che questa artista ternana ha saputo realizzare è, in effetti, rimarchevole, perché tende esteticamente un arco tra improvvisazione e progetto, ordine e disgregazione – della materia come del disegno, senza che fra i due enti si possa al termine dell’osservazione tracciare più un confine certo. Ma, a meglio considerare, l’estetica non basta a spiegare l’intensità meditata di pitture in cui il pigmento nobile dell’olio, disteso per di più con una perizia misurata su modelli dichiaratamente rinascimentali e insieme accortamente contemporanei (Leonardo da Vinci da un lato, Nicola Samorì dall’altro), si combina alla corrosione del metallo.
E si ritorna, così, alla metafisica lasciata intravedere dalle anatomie poetiche degli inizi. Le mani, rese in pittura nel loro intreccio materno su grembi tracciati dal disordine controllato della corrosione, divengono infatti nell’opera della Ubaldi il simbolo di una protezione, di una cura amorevole della vita, sottolineando insieme quanto questa stessa vita rifiuti per sua natura la misura, la sicurezza, germogliando e facendosi largo nel ferro entro le tonalità calde ma non per questo meno inquiete delle ruggini. Lo studio anatomico di un corpo – meglio, di un dettaglio tra i più vigorosi del corpo, quali le mani sono – apre dunque l’opera della Ubaldi a vertiginose considerazioni sulla corruzione della materia, senza per questo dimenticare la bellezza che in quella stessa materia, e in quella medesima corruzione può ritrovarsi. Sul crinale scosceso di un’arte che non rassicura l’osservatore sul corso del proprio tempo ma, insieme, lo soggioga al fascino della sua parabola in un raccoglimento pacificante, sembra insediarsi dunque una della ragioni maggiori dell’interesse di questa artista, dell’opera presente come dei risultati che ancora verranno.
Luca Arnaudo (Critico d’arte)
“PER VOCE CREATIVA” è un ciclo di interviste riservate – e dedicate – alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa quinta intervista, Giovanna Lacedra incontra Roberta Ubaldi (Terni, 1965).
“L’artista rende visibile quello che l’anima sente.” È questo il principio fondante della ricerca di Roberta Ubaldi. Una ricerca rara e peculiare, che l’ha istantaneamente allontanata dall’uso di supporti tradizionali ed espedienti prevedibili. Per rendere visualizzabile l’invisibile, Roberta ha scelto di adottare il linguaggio della “corrosione”. La corrosione come metafora della vita stessa: del tempo, della memoria, dell’erosione emotiva. O del ricordo rimosso, che riemerge dal calderone dell’inconscio sotto forma di brandello. Un pezzo della propria storia affiorante da una reazione chimica. Per ottenere questo risultato, l’artista sceglie di schivare la tela, servendosi invece di ferro e ruggine. Pittura ad olio su lamiera ossidata. Una tecnica originale e laboriosa, in cui l’attesa della reazione chimica diviene tempo della meditazione; il tempo in cui lo sguardo pazientemente cerca, tra i grumi e le macchie, gli elementi che la pittura ad olio andrà a definire. Le tracce casuali dell’ossidazione e della calda cromia bruno-rossastra della ruggine, suggeriscono immagini, apparizioni che piano si materializzano in una precisa zona della superficie ferrosa. Superficie trattata, dunque vissuta, e per questo capace di tramutarsi in un reperto menmonico. E i reperti sono sempre anatomici. Più spesso, si tratta di mani. Mani imprendibili appaiono come visioni abilmente plasmate dal caso. La corrosione crea macchie, e come diceva Leonardo; ”…dalle cose confuse l’ingegno si desta a nove invenzioni” (Libro di pittura, f. 35 v, cap. 66) . La tavolozza è calda. La linea, rinascimentale. La cura del dettaglio, accurata, sapientemente sposa la macchia. La ruggine diviene metafora della mutazione. Emblematica traccia di quanto è stato. Testimonianza di ciò che il tempo ha corroso, non logorandone il ricordo visivo. Che resta, come ogni ricordo, definito in certi dettagli, sfilacciato e smembrato in altri.
Michelangiolescamente non finiti, i cocci anatomici della Ubaldi emergono dal caos e nel caos ritrovano sede. Perché l’indagine è introspettiva, perché si tratta di reminiscenze emerse dagli abissi della psiche. Frammenti di un discorso, forse “amoroso” per dirla alla Roland Barthes, come se l’elemento figurativamente riconoscibile – la mano, il teschio, il volto che si sbriciola – disvelasse la presenza di “qualcuno che parla dentro di sé” (R. Barthes . Frammenti di un discorso amoroso). Una presenza frammentata. Che è in verità tante presenze-reminiscenze.
Sono effigi della memoria le opere di Roberta Ubaldi. Quasi fossili emotivi. Ricordi che emergono dal sogno. Laddove le tonalità aranciate della lamiera e della ruggine divengono allegorie dell’inconscio. Metafore. E come affermava Claude Lévi-Strauss in Il crudo e il cotto, “Anziché aggiungersi al linguaggio alla maniera di un abbellimento, ogni metafora lo purifica e lo riconduce alla sua materia prima”.
Giovanna Lacedra
Dall’originale incontro tra la più tradizionale tecnica ad olio e l’azione di recupero di materiali industriali, come lamine di ferro, nasce il raffinato mondo di Roberta Ubaldi.
Un soffuso alternarsi di toni morbidi, dalle luminosità contenute, che con ricercato contrasto si impreziosisce dei moderni procedimenti di trasformazione e di invecchiamento dei supporti metallici di riciclo.
Come un work in progress, una prima azione pilotata dal raziocinio dall’artista, che prevede l’esposizione dei sostegni a eventi naturali, acqua e aria, sembra trasformarsi in rito divinatorio lasciando all’incontrollabile precipitare degli eventi e alla casualità delle ossidazioni importanti libertà di evoluzione.
Nell’attesa della completa fusione con il colore, le pennellate si susseguono difatti delicate, ispirate e guidate dagli andamenti del supporto, svelando le passioni e i pensieri più reconditi di Roberta Ubaldi, artista molto raffinata nell’esecuzione e capace di avviare un gioco di trasparenze e di morbidezze di una eleganza fulgente. Tuttavia queste visioni ovattate celano un messaggio più profondo, a tratti oscuro, rivelandosi, nell’erosione dei materiali, metafora del trascorrere del tempo.
Un canto all’inesorabile caducità delle cose e della vita stessa che nella serie “ Fantasmi “ si rafforza iconograficamente attraverso l’introduzione di presenze misteriose e di soggetti visionari, simboli di ambiguità, in contrasto con le certezze del reale. Barbara Angiolini (critico d’arte)
Operare artisticamente su oggetti quotidiani, rottami recuperati destinati ad altro uso, presentarli o inserirli in una composizione pittorica non è certamente una novità se è vero com’è vero che questo modo di operare nasce con il dadaismo. Scegliere un supporto metallico che reca evidenti i segni del tempo e utilizzarne la superficie per imprimere il proprio segno è un modo personale che indica una precisa volontà di ricerca, un desiderio di sperimentare che nasce sicuramente da un’esigenza intimamente sentita. Superato l’impiego dei supporti pittorici abituali, Roberta esprime il proprio sentire artistico utilizzando superfici ferrose che recano chiare tracce di ossidazione; le sue opere più recenti si concretizzano tutte con questa scelta operativa. L’unione fra le ossidazioni ” naturali ” impresse sul supporto e il personalissimo e colto segno pittorico dell’ Autrice crea una simbiosi raffinata che sottolinea la validità della scelta. Segni indeterminabili si fondono e si integrano con la figura umana che Roberta da sempre predilige, creando un unione cromatica mai discordante. Sintesi di due pitture quindi, la prima casuale sulla quale si innesta, integrandosi perfettamente, il cromatismo pittorico di Roberta con un’aderenza precisa e raffinata. Sta in questa cercata integrazione di segni e nella sapiente scelta cromatica personale che nasce un combing-paintings capace di trasmettere emozionanti sensazioni che restano a lungo vive nella memoria.
Luigi Loretoni (fotografo)
Roberta Ubaldi predilige affidare le sue visioni all’elemento ferroso attendendo pazientemente che, senza alcun ricorso a soluzioni acide, si produca naturalmente un processo di ossidazione, di graduale trasmutazione della materia. L’intervento di acqua, stoffe, plastiche contribuisce a far sì che l’avvenuto cambiamento nella lamiera acquisti via via una funzione tutt’altro che secondaria svolgendo, al contrario, un ruolo di primaria importanza nella definizione dell’opera. Ed ecco che, a questo punto, lo scavo nei retaggi interiori comincia a prendere forma, a venire in superficie fino ad adottare il linguaggio della luce. Si è parlato, in questo caso, di pittura per stratificazioni. In realtà, questi lavori non nascono da sovrapposizioni quanto da un amalgama, dalla combinazione e dalla fusione di figure ridotte all’essenziale, purificate dello spurio e del ridondante. Il suo è un affondare nella femminilità dell’essere, alla ricerca dell’archetipo materno, di quell’origine da cui ha inizio il respiro del mondo. Da qui l’emergere di mani in cerca di vagiti da proteggere, di braccia amorevolmente protese verso infanzie recuperate, di sguardi e labbra che annunciano corpi trattenuti e finalmente liberati. L’artista ci immette in un viaggio, trasognato e lirico, che parla di noi con tanta intensità da commuoverci, da sciogliere le lacrime come vele al vento dispiegate.
Prof. Francesco Pullia
L’anima in contatto con l’aria e quindi con la vita, subisce delle ossidazioni, così come la materia quando incontra l’ossigeno, respira e si trasforma, velandosi con una patina, coprendosi di ruggine, la materia cambia e muta pur mantenendo la propria sostanza.
I metalli perdono lucentezza, così come accade a volte alla nostra anima e al nostro corpo. Lo strato superficiale si altera, diventa ruvido, più spesso, forma stratificazioni, incrostazioni: si ossida nel tempo e con il tempo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, ma sotto la patina c’è sempre la stessa essenza.
Ed è qui che trovano la forza espressiva e comunicativa le figure, le porzioni di corpi umani delle opere di Roberta Ubaldi che affiorano perché parte di quella materia. Sono persone, sono fantasmi, presenti o passati che nel tempo hanno subito ossidazioni, imprigionati nella loro stessa sostanza, soffocati quasi dalla loro stessa patina, formatasi come difesa dalla vita. Con coraggio tentano di uscire, osservando e tentando di guardare il mondo che sembra a loro alieno.
Intimiditi, impauriti o forse semplicemente impossibilitati di liberarsi dalla propria “prigione” rimangono costantemente presenti, cercando un contatto, anelando un’alternativa di vita. Pause, tregue affettive, emozionali emergono con armonia divenendo frammenti, ancora in grado di comunicare.
Le ossidazioni proteggono, ma nello stesso tempo imprigionano, celano la completezza delle emozioni, Roberta Ubaldi le libera, anche se solo per un istante anche soltanto per un frammento temporale e da sole le lascia parlare.
Queste anime riprendono vita e ancora una volta hanno la possibilità di sentire la loro natura.
Rimangono per sempre come accade per i ricordi, completamente avvolte di una patina di ruggine che le protegge nel costante scorrere del tempo.
Chiara Ronchini
“Ruggine…Tu, sostanza bruno rossiccia, tu, idrossido di ferro, tu dall’effetto tattile e polveroso, con aggressività guerriera, combinata all’aria umida e all’aria, intacchi la superficie del ferro e lo colori e lo dipingi come un artista senza pennello. Tu corrodi Mia Cara…e dai inizio a quel processo di mutazione cromatica, che toglie al metallo le sue sembianze dure e gelidamente omogenee”.
Roberta UBALDI si innamora di questa modificazione chimica, la interiorizza e la rende complice di quella preparazione che diventa l’originale alternativa alla sua tela, avvolgendo ed ispirando la sua espressione emotiva.
Con l’ avvio del processo di ossidazione ha inizio la metamorfosi naturale, un gioco cromatico, un lavoro articolato organizzato per stratificazione, dove il tempo e la mutazione si combinano al talento espressivo dell’artista.
E’ subito evidente il contrasto tra la freddezza statica della lamiera ed il tema pittorico concepito. Quanta incredibile sensibilità si impossessa di questo arcaico materiale!
Porzioni di figure, frammenti di anatomia umana pregni di ingenuo sentimento e di una forza emozionale tale da apparire reali ed intrappolati nella materia. Il mio occhio sulle sue opere percepisce la “carne” e la “lamiera” che si compenetrano, l’essenza umana che diventa il cuore palpitante del supporto.
Ecco la Vita, ecco che ne si riscopre l’ Anima, in un gioco di seducente mutazione.
Come immagini senza tempo, incognite ed incompiute, i ritratti si sfumano e amalgamano nella materia, in una fusione profonda , tormentata, timida e lasciva. L’identità è nascosta, perpetua, e la forza che pervada incanta. Ne deriva un’espressione pittorica di forme proporzionate e perfette, dai toni caldi e avvolgenti, che riprendono i colori della scala della ruggine, evidenziando il tratto morbido e maturo di chi ha innata e spontanea l’arte pittorica.
“Orsù, dunque, METALMORPHOSIS, come una parola magica d’elogio alla sensibilità incantevole di uno stile leggiadro e femmineo quale il talento di Roberta UBALDI”.
Cristiana Pecile (Architetto, Gallerista)
[…]Peculiare è la maniera di Roberta Ubaldi, che fa emergere le sue figurazioni tra le ossidazioni sapientemente modulate sulle lastre metalliche. Sono proprio le forme delle macchie rugginose, determinate dalla tecnica d’esecuzione ma pur sempre sottoposte alla casualità degli eventi, a suggerire all’artista le immagini da visualizzare. Memore del michelangiolesco concetto neoplatonico, secondo il quale il soggetto era già contenuto nel blocco di marmo e lo scultore doveva aiutarlo a uscire fuori, Roberta Ubaldi lo traspone in pittura (con)fondendo i toni dei pigmenti con quelli della ruggine, in modo tale che le immagini sembrino germinate per naturale processo chimico-fisico. […]
Dott. Francesco Santaniello (critico e storico dell’arte)
La curiosità e la voglia di crescere la portano a sperimentare di continuo: dopo aver studiato e frequentato le più diverse tecniche classiche, arriva progressivamente a sviluppare una sua ben definita cifra stilistica, un marchio di fabbrica in cui una tecnica estrema e delle cromie ridotte all’osso sono al servizio di un lavoro che nulla concede alle mode di passaggio. La continua ricerca di materiali diversi l’ha portata attualmente ad utilizzare lamiere in cui l’ossidazione creata dal tempo supera lo status di mero supporto per divenire parte essenziale dell’opera pittorica. L’amore per il corpo umano, la porta a raffigurazioni che a partire da una matrice ancora volutamente figurativa sembrano volersi celare dentro una trama di ossidazioni che parlano sì di tempo e di memoria, ma lo fanno attraverso volti, corpi, sguardi, vivissimi sguardi, capaci di andare oltre. Avanti.
Franco Profili (artista, curatore di eventi)
L’opera di Roberta Ubaldi ci fa comprendere quanta ricchezza si può trovare in una “ossidazione” fatta di tempo di stratificazioni dove soltanto la sensibilità e la coscienza di un’artista riesce a leggerci e suggerirci la melanconica suggestione dell’apparizione. Così il profilo michelangiolesco si materializza sotto i nostri occhi e da una “povera” lamiera affiora la memoria di un passato che è anche la nostra storia. Da Alchimie d’Arte,
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L’arte di Roberta Ubaldi è una sorta di maieutica. Da opache lamiere di ferro, in fase degenerativa, l’artista fa emergere ricchezze inattese: corpi in movimento, mani che si stringono o tendono verso l’alto, volti che occhieggiano. Forme michelangiolesche affiorano, sfidando le stratificazioni del tempo e della materia erosa. Anche la ruggine assume le sue valenze, in un percorso artistico che invita all’introspezione, quasi parti inesplorate di sé, erose dalle malinconiche suggestioni di apparenze inattese. Nelle sue Ossidazioni, l’uomo appare come parti di corpo che, al di là del bene e del male, a fatica emergono dagli incubi sedimentati nella coscienza. Da Il Filo D’Arianna,
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Le opere di Roberta Ubaldi nascono da una profonda ricerca tecnica ed introspettiva. La materia della lamiera, ossidata senza l’uso di processi artificiali, è realizzata con paziente ed attento controllo dell’acqua e del tempo, in susseguenti fasi di stratificazioni di elementi, che l’artista segue e sposta, creando suggestive atmosfere materiche che rispecchiano quelle interiori. Come Man Ray usava nelle sue opere a contatto un processo tecnico fotografico, dove l’oggetto “impressionato” lasciava la sua sagoma, la sua orma, il ricordo della sua essenza materiale per acquisire un nuovo significato, così Roberta Ubaldi impressiona le lamiere: queste non sono soltanto un supporto materico, bensì il frutto di un processo di mutazione della materia, che nella sua degradazione trova la forza dell’evocazione. La mutazione fisica è riscattata dalla celebrazione intellettuale: l’ineluttabile processo d’alterazione, che porterebbe alla fine, diventa invece una rinascita. Trovare un nuovo senso a questa mutazione senza però dimenticare… ed è così che da quelle ossidazioni materiche riaffiorano ricordi, memorie, anime di cui riusciamo a respirare l’alito vitale, poiché noi stessi ne facciamo parte. Fantasmi emergono suadenti, ancorandoci ad un passato concreto ma proiettandoci in un futuro diverso. Così anche quando poco o niente affiora, sappiamo che quei ricordi sono in essere, sono lì pronti a riemergere come parte importante di ognuno di noi, come “prigioni” che trovano la forza di liberarsi non appena siamo pronti a riconoscerli. Una rinascita dunque nella coscienza, dove un valore non può sostituirne un altro, nonostante il suo degrado, ma che può soltanto arricchire se soltanto viene riconosciuto… interiorizzato. L’opera di Roberta Ubaldi dà valore alla realtà mutata: da questa emerge il ricordo di un’emozione; da questa, una realtà nuova. Da Ossidazioni
Marco Testa (critico d’arte, gallerista)
Tutto cambia.
E’ il principio fondante del concetto di Evoluzione. E’ quanto di più naturale ed inevitabile ci sia in quel fenomeno straordinario che chiamiamo Vita.
Guardiamo il mondo e ci rendiamo conto di appartenere a quella corrente di trasformazione che niente e nessuno lascia escluso, indenne, immune, tanto che nulla conserverà lo stesso aspetto per sempre. In primis la Bellezza, fugace ed effimera per antonomasia, che subisce senza indulgenza alcuna quest’effetto rivoluzionario.
Persino l’atto finale del morire non è da considerarsi come “stato” di cose se non come passaggio. Inevitabile, meraviglioso transito al Nuovo.
La Metamorfosi è dunque un processo prezioso dell’esistenza, almeno se si assume che il cambiamento non sia una perdita, ma una possibilità che va afferrata, sedotta, sfruttata in quanto fonte di nuovi profili e stimolanti realtà.
L’Arte, facente parte della vita, non si sottrae alle medesime regole processuali ed è da questo assunto che trae ragione e nutrimento il lavoro artistico di Roberta Ubaldi.
Alleata di Crono, la pittrice ternana vede nel cambiamento un’opportunità stilistica e trova nelle lastre di lamiera modificate dall’azione spontanea degli agenti esterni il suo personale strumento di espressione. Lascia dunque che il tempo faccia il suo corso, che realizzi quelle mutazioni della materia dentro le quali successivamente inietterà la sua dose di Umanità.
Le immagini che emergono tra le macchie del ferro ossidato assomigliano ad echi di umanità, sono caratteri celati, emozioni espresse con la misura della discrezione e del timido riserbo.
Sfuggevoli come alcuni sguardi, imprevedibili ma intensi come gesti non studiati, ci sorprendono e ci suggestionano come un incanto pari ad un sortilegio.
Impossibile non accorgersi che dietro queste opere c’è un ‘animo femminile. La delicatezza della sua interiorità si esprime attraverso pennellate che fanno rivivere membra aggraziate in posture di materna accoglienza. Altri sono occhi che sembrano “vergini” al mondo, porzioni di viso che si espongono confuse dal velo “rude” della ruggine che è insieme maschera e protezione.
L’armonia delle forme, i colori tenui di luce soffusa, i contorni sfumati, tutto parla di un garbo di natura venusiana.
Roberta costruisce un’altalena che accompagna le nostre sensibilità dal passato al presente e viceversa, ripescando dalla memoria del tempo sentimenti che fa riemergere come nuovi su uno sfondo che è già vissuto. Un’alternanza che mescola il fascino dell’antico la cui bellezza è insita nella sua propria corruzione, alla “pulizia” dei lineamenti appena accennati dai colori ad olio.
Ed in tutto ciò, il supporto di lamiera rivive, vibrante di nuova anima, e va oltre, si spinge più in là, esattamente come la preposizione greca “Meta” vuole indicare, per superare se stesso e diventare ingrediente del più ampio processo del divenire che trasforma un semplice oggetto in opera d’Arte.
Per realizzare la sua attesa, invocata meta-l-morphosis.
Nicoletta Pecile ( Responsabile comunicazione, La Contemporanea Studio Art Gallery – Torino )
Ci sono luoghi, come l’Umbria, che mi piace definirli “luoghi dell’anima”.
Aldilà delle proprie, personali e rispettabili credenze, religioni o quant’altro, trovo che questa regione sia pregna di spiritualità.
Una spiritualità diversa da quella “istituzionale”, quasi privata, intima, che nasce dalla terra, dal suo passato ed anche dalle persone.
Un artista che nasce in Umbria è un artista fortunato!
Ha comunque la possibilità di viaggiare, scoprire, conoscere ma allo stesso tempo il suo sguardo, ogni volta che rientra nei propri luoghi, affonda e si rivolge a quelle “origini francescane” che hanno determinato lo sviluppo del “pensiero libero”dell’arte.
Tutto muta, nulla è eterno. Si chiama metamorfosi.
Un ammasso di ruggine oggi, molto probabilmente era ieri un oggetto quasi indispensabile!
L’arte di Roberta Ubaldi è carica di spiritualità e di ruggine.
Rimanda immediatamente a quelle immagini risalenti al II secolo d.C. della piana del Fayum. Quella straordinaria serie di stele e ritratti ancora avvolti nel mistero ma allo stesso tempo fonte di ispirazione di molti artisti.
Suggestivo.
Sì, si può definire suggestivo, il lavoro dell’artista Roberta Ubaldi.
Suggestivo in quanto suscita immediato interesse, curiosità ed emozione.
Fermarsi o meglio, soffermarsi davanti ad una sua opera è come gustare un buon bicchiere di vino rosso, piemontese o toscano, magari d’annata.
Immediatamente riconosciamo un sapore già nostro, ne cogliamo i profumi, apprezziamo la struttura e ne gustiamo l’intero corpo al palato.
Così avviene per un suo dipinto. Lo guardiamo, ne scopriamo la struttura, e lo sentiamo “familiare” e anche dopo averlo fatto decantare un po’ nella nostra memoria rimane a noi vicino.
E non ne conosciamo il motivo.
Il segreto sta nella magia di sapere unire gli elementi. Un segno del tutto informale, decontestualizzato che nasce dalla pura gestualità e dal saper gestire la materia dalla quale, come in un incantesimo di medioevale memoria, appare un volto, una figura, che immediatamente ci rimanda ad un qualche cosa di conosciuto, di vicino, di nostro.
Uno sguardo, un abbraccio, un viso, a volte un busto femminile sono solo gli elementi già noti che rendono estremamente leggibile questa pittura. Una pittura molto più complessa ed intimista di quello che può emergere da una analisi superficiale della stesura dipinta. Di fatto, dove finisce l’esecuzione inizia la ricerca. Una ricerca fatta di esperimenti, tentativi e lavoro, tanto lavoro che ha portato l’artista a i risultati che abbiamo davanti al nostro sguardo.
L’artista adotta il ferro come superficie “ideale” per il suo lavoro.
Il ferro come elemento della terra, inerme ma allo stesso tempo vivo, forgiato sì dall’uomo che lo ha reso lastra, ma che continua il suo mutare attraverso il passare del tempo.
Il ferro come base, come elemento scenografico, come campitura, che con i propri segni nati dall’erosione della ruggine , veste i panni del complice dell’artista, e lascia una traccia ben visibile sull’intera area dell’opera.
Di fatto è proprio l’ossidazione dell’elemento ferroso che trasferisce al lavoro della Ubaldi, quell’aurea di mistero e teatralità che lascia gli spettatori con il fiato sospeso fino alla scoperta dell’elemento figurativo.
Il risultato è ottimo, come detto all’inizio: suggestivo.
Dove, dopo una percezione iniziale di caos, ogni elemento trova il proprio equilibrio risultando omogeneo, armonico e ben distribuito. L’analisi del soggetto è attenta, con un netto riferimento ad un passato legato al classicismo senza molestare o invalidare l’informale espressività caratterizzante di questi lavori. La pennellata è a volte velata, altre morbida altre ancora quasi virile.
In passato, mi è già capitato di “imbattermi” nel lavoro di questa artista, se non ricordo male in un paio di occasioni se non di più. Una sicuramente durante una manifestazione di beneficenza legata ad una raccolta fondi per una associazione per la ricerca sulla fibrosi cistisca dal titolo provocatorio “Mangia le Prugne” ed in un’altra, fra i finalisti del Premio Combat a Livorno. In ambedue i contesti mi ero ripromesso di approfondirne la conoscenza.
Bene, questa mostra me ne ha dato la possibilità ed ho scoperto il talento naturale che determina la cifra pittorica di Roberta Ubaldi.
Un’artista contemporanea nata in terra umbra, regione molto legata alle tradizioni ma allo stesso tempo, la terra che ha dato anche i natali quell’Alberto Burri che tutti noi conosciamo e riconosciamo, che ha rivoluzionato gli schemi dell’arte contemporanea lasciando una forte eredità intellettuale ed espressiva a tutti gli artisti nati in quei territori dopo di lui.
Come la protagonista di questa mostra.
Una giovane artista contemporanea nata a cavallo fra il ‘300 ed il XX secolo.
In una calda giornata d’estate all’ombra di un cipresso.
Roberto Milani (Gallerista, critico d’arte)